Le giacenze sono pari a 54 milioni di ettolitri come un’intera vendemmia

Il lockdown ha messo a terra il vino italiano. E spostare l’apertura di bar e ristoranti al 1° giugno è una tegola non solo sulle abitudini degli italiani ma anche sulle vendite di vino. Nelle cantine italiane le giacenze sono arrivate a quota 54 milioni di ettolitri, in pratica l’intera produzione di un anno, con la conseguenza che la vendemmia rischia di essere non la solita festa ma una vera propria iattura che farà crollare i prezzi. Certo, sono aumentati gli acquisti online (saliti dal 20 al 25% dei consumatori) ma per oltre il 50% i consumi sono rimasti invariati e, soprattutto, il 30% degli italiani ha bevuto meno vino.

Nella Ue metà produzione senza sbocco

I dati sono emersi dall’Osservatorio Vinitaly-Nomisma e sottolineano come il blocco di bar e ristoranti stia ingessando il vino europeo. Risulterebbe, infatti, secondo il Ceev, l’organizzazione delle imprese europee del vino, senza sbocco di mercato il 30% in volume e il 50% in valore della produzione vitivinicola Ue. Una valutazione che getta un’ombra sui prossimi mesi perché senza una progressiva ripresa almeno delle esportazioni (frenate dallo stop anche della ristorazione estera) e con giacenze che secondo i dati del ministero delle Politiche agricole al 31 marzo sono a quota 54 milioni di ettolitri (nelle cantine c’è un volume pari all’intera produzione di un anno) la prossima vendemmia rischia di  essere un vero dramma. Gli stock di vino esploderebbero e i prezzi nel giro di pochi giorni crollerebbero.

Il dramma di bar e ristoranti chiusi

La causa prima del blocco delle vendite è da individuare nell’azzeramento del canale di bar e ristoranti, molto rilevante sotto il profilo del fatturato considerato il prezzo medio più elevato rispetto alla grande distribuzione. Negli ultimi giorni tra i ristoratori si è registrata una significativa iniziativa: con locali sbarrati e cucine che lavorano per il delivery, alcuni hanno provato ad aprire le porte delle proprie cantine per vendere ai privati bottiglie pregiate e alleggerire il magazzino. Escluso l’export e una quota per lo più trascurabile di e-commerce, in Italia circa il 70% delle vendite di vino avvengono nella grande distribuzione, il restante 30% invece prende la strada dei consumi “fuori casa”, ed in genere è anche quello che ha un prezzo medio più elevato. Secondo l’Osservatorio sul vino di Uiv (Unione italiana vini), nei canali horeca (hotel, retaurant e catering) vengono consumati 7 milioni di ettolitri di vino l’anno per un giro d’affari di 2,8 miliardi. A essere colpite dal black out della ristorazione sono le etichette che più hanno investito negli anni per posizionarsi su un livello di prezzo più alto.

Enoturismo fermo

Senza dimenticare il crollo del turismo e quindi dell’enoturismo. Un segmento cresciuto molto negli ultimi anni e che oggi conta circa 25mila cantine in Italia aperte al pubblico. Aziende che registrano per le sole vendite dirette un giro d’affari di oltre 2 miliardi di euro l’anno. Un canale di vendita alternativo a quelli convenzionali che ha fatto inoltre da volàno per lo sviluppo di un significativo indotto nella ricettività e nella ristorazione. «Un universo che al momento è semplicemente cancellato – ha denunciato la produttrice Donatella Cinelli Colombini, da sempre molto attiva sull’enoturismo e promotrice tra l’altro della manifestazione Cantine aperte – facendo così venir meno una importante fonte di liquidità per le imprese oltre che una leva di sviluppo per i territori».

Lo sbocco della distillazione

Intanto a livello nazionale si lavora su misure in grado di favorire l’equilibrio di mercato e in dirittura d’arrivo vi è una distillazione di crisi con fondi Ue per circa 50 milioni di euro per ritirare dal mercato tra i 2,5 e i 3 milioni di ettolitri. Una cifra pari al 5-6% delle giacenze in cantina e che consentirà così di alleviare la pressione dell’offerta sostenendo i prezzi. Una misura efficace e che sarà poi completata da una vendemmia verde facoltativa (cioè taglio e distruzione dei grappoli in campo prima della maturazione) per la campagna 2020-21. L’obiettivo è cercare di ridurre la pressione dell’offerta sui prezzi. Ma per un produttore l’ipotesi di distruggere il prodotto o di non produrre resta sempre molto difficile da digerire. Ed equivale alla richiesta di vanificare parte degli investimenti e soprattutto del lavoro effettuato durante l’anno.