
L’opera del ferrarese Mario Tarroni acquistata dalla celebre galleria milanese M77
“Sono appassionato di arte da sempre. Dipingo e scolpisco per esigenza personale, guardandomi bene dal farne un lavoro di cui non potrei accettare certi vincoli. Quando mi è stato proposto di esporre, ho scelto di uscire dalle strade battute, optando unicamente per scenari inconsueti e vendendo, su richiesta, attraverso un circuito di private bank o direttamente ai collezionisti. Per lavoro sono direttore artistico/event-manager e da anni collaboro con collezionisti e gallerie d’arte in qualità di art broker/advisor”.
Così si presenta sinteticamente Mario Tarroni, pittore e scultore di origini ferraresi, direttore artistico dell’associazione culturale “Tota Pulchra” e dell’altra associazione “Misima”: parlando del suo ultimo ingresso, da artista, in una celebre galleria milanese, la M77, avvenuto in circostanze speciali. La galleria, infatti, qualche tempo fa ha espresso interesse per “Le stanze dell’inconscio”: 50 opere di Tarroni oggetto di una mostra (durata 18 mesi), ideata a suo tempo dallo scomparso Philippe Daverio, e presentata da FINECO; di fronte al diniego dell’artista a cederle, la galleria ha compreso e gli ha offerto 50.000 €/m2 per i lavori del “nuovo corso”.
La quotazione in m2 è senz’altro inconsueta nel mondo dell’arte; ma, spiega Tarroni, tutto è nato da una domanda: come il mercato dell’arte misura le proprie mercanzie? Le quotazioni seguono generalmente una grande vastità di parametri, e a volte nemmeno gli esperti concordano sulle stime. Del resto, l’arte è una materia profonda, come sono profondi i concetti che esprime: con una quotazione al m2, invece, si taglia corto: normalmente ci si misurano le superfici. Ma, prosegue l’artista, a sua volta nulla è più profondo della superficie. E poi, cos’è un dipinto? Si puo’ immaginarne uno senza superficie? Forse che la superficie non ha uno stretto legame con l’esperienza dell’opera, ed anzi, non concorre apertamente a formarla?
Tutte riflessioni, queste di Tarroni, che andrebbero ulteriormente approfondite. Molti, prosegue l’artista, ritornano delusi dopo aver visto la “Gioconda”: magari se la immaginavano più grande. Forse che una Cappella Sistina dentro una boule de neige può avere lo stesso effetto dell’originale? La sindrome di Stendhal colpisce anche i collezionisti di francobolli? “Tuttavia è innegabile”, prosegue ancora Tarroni; “ci sono opere che si esprimono al meglio nel piccolo ed altre nel grande; la dimensione, il coinvolgimento emotivo e la relazione che si stabilisce con l’opera sono interrelate fra loro. La serie a cui sto lavorando ne tiene conto ed accoglierà dimensioni varie e inconsuete. Inoltre, la quotazione al metro quadro, oltre a richiamare alla mente la “misurazione di un quadro”, può permettere più livelli di accesso al collezionismo. Credo che oggi, almeno nelle quotazioni artistiche, bisogni essere un po’ più “superficiali”; per così dire; è uno spunto che spero venga colto dalla tappezzeria contemporanea”.
Le origini della sua arte
Ma più che per la quotazione economica, l’artista precisa di aver accettato la proposta di collaborazione con M77 per il valore simbolico che, per lui, ricopre la serie programmata con la galleria. Primo lavoro consegnato da Tarroni è #Oliosutela #1, “Marco è un bravo ragazzo ma nessuno lo sa”. Di cosa si tratta? “È un’opera autobiografica, sociale, mitica; densa, direi proprio viscosa, di significati, nonostante ad alcuni potrebbe apparire solo l’ennesima trovata provocatoria”, precisa l’artista. “Questa la genesi: per realizzare quel che avevo in mente avevo bisogno di un taxi e mi sono recato presso Piazza S. Pantaleo, una stazione taxi del Centro di Roma dove ho identificato un tassista in cui mi sono rispecchiato, Marco: artistico, inquieto e con pochissimo tempo a disposizione. Gli ho chiesto a bruciapelo di aprire il cofano per un rapidissimo controllo dell’olio motore; inizialmente confuso, diffidente, stupito… con un po’ di magia, si è poco a poco trasformato, facendosi infine divertito, giocoso, sognante; a quel punto dovevo trasformarmi io, tornando a fare un gesto antico (quello di asciugare l’asta dell’olio con uno straccio), ma riempito, in quel momento, di tutto un nuovo significato”.
E’ stata, insomma, un’opera realizzata nel corso di un’improvvisa performance. Trent’anni fa, da ragazzo, Tarroni, controllava l’olio presso la stazione di servizio dei genitori (Service Car Center dei F.lli Tarroni), sognando orizzonti artistici; l’anno scorso, ha inaugurato, insieme al fratello Michele, un’agenzia di servizi per il mondo dell’arte in America Latina, Service Art Center: nel nome, un tributo alla loro storia familiare. “E oggi”, riprende l’artista, “uno straccio come quelli che imbrattavo da ragazzino diviene un’opera d’arte, acquistata da una fra le più prestigiose gallerie d’Europa. Sono onorato che abbiano deciso di riservarmi l’ingresso ufficiale d’artista in galleria con un’opera dove celebro il mio cammino e l’impegno a trasformare la vita, mia e degli altri, attraverso l’arte. A Marco, con la spiazzante performance, ho scosso sicuramente la giornata… e con i profitti dell’opera, che ho promesso di dividere con lui, mi auguro di contribuire a dare una scossa anche alla sua vita”.
#Oliosutela”, la serie programmata da Mario Tarroni con la galleria milanese, è una serie completamente diversa da quanto sinora realizzato: più propriamente, è una “non-serie”, le cui opere non avranno nulla in comune tra loro, se non il solo fatto di essere olii su tela (ma, come abbiamo visto parlando della #1, le accezioni di “olio su tela” ìn questa serie vengono abbastanza ampliate…). “Con questo ciclo”, conclude l’artista, “svolgerò soprattutto un lavoro sui termini stessi dell’arte, sui parametri con cui si classificano le opere, come appunto la tecnica, e con cui si quotano, e affronterò il discorso sulla misurazione in m2, e sulle dimensioni. Su questo ho deciso di indagare. Ma per gradi. L’arte è un fulmine che arriva furioso e improvviso. Non produco e non produrrò per una catena di montaggio dettata dal mercato. Quando decido su una mia opera è solo perchè la sento nascere dentro”.
Ricevuto, e volentieri pubblicato, da Fabrizio Federici